Non un ritratto agiografico, edulcorato, ma il racconto della verità, scomoda quanto deve essere. La verità che don Lorenzo Milani raccontava ai suoi parrocchiani per aprire loro gli occhi sulla condizione di sfruttati e la verità dello scandalo che egli suscitò con le sue parole, anarchiche e rivoluzionarie, che lo fecero “saltare” dal ruolo di cappellano nella popolosa parrocchia di San Donato in Calenzano “all’esilio” di Barbiana, un paese di poche anime montanare e analfabete. Due fasi della sua breve vita: “da cappellano”, negli anni appena successivi all’ordinazione a sacerdote dal 1947 al 1954 con la scuola popolare per giovani operai e contadini aperta a Calenzano e l’opposizione alla Curia fiorentina, e “da Priore”, gli anni di Barbiana dal 1954 al 1967 sul monte Giovi dove don Milani proseguì la sua opera di educazione del popolo e dove aprì la celebre scuola che fu uno degli esperimenti di pedagogia più interessanti del dopoguerra. Una rappresentazione che non vuole solo essere cronaca ma che vuole proporre tutta l’emozione della forza del messaggio di don Milani. Perché “in ultima analisi, saremo giudicati per l’amore che avremo messo nelle cose.” (Lorenzo Milani)